11 gennaio 2017

End to the Wild

Non posso essere felice nello scrivere questo ultimo post.
Non posso esserlo in quanto ultimo.
Posso però essere attratto dalla storia che il mondo selvaggio e forte dove abbiamo vissuto in questi giorni mi ha lasciato sulla pelle.
Una storia di fantasia, che non ha per protagonisti il Re incontrastato della foresta ne tantomeno il maestoso elefante.
Bensì due piccole creature, create dalla stessa mano che creò il Re e l'elefante, forse con un impegno minore ma certamente con una grande arte.
La storia inizia in un solco su di una pista sabbiosa lasciato da un pneumatico di un fuoristrada, ed inizia così:

Un rumore sordo e lo spostamento d'aria di un auto fa sobbalzare e spaventare la povera dama bianca, la quale intenta ad attraversare la pista sterrata, per poco non veniva travolta.
Ancora impolverata e mezza tramortita si vede arrivare addosso un'ombra rotolante.
Chiude gli occhi, quasi a non vole assister alla propria morte quando ad un tratto l'ombra si arresta e, dietro essa una voce esclama " ciao dama, sei tutta intera ?"
Ohi si Sterk, sto bene ma per poco questo fuoristrada non mi schiacciava.
Anche io ho rischiato dama, ma per fortuna il tipo alla guida mi ha visto e mi ha evitato.
Io non ne posso più di questo posto Sterk, vorrei partire, andare lontano, sogno mondi nuovi e diversi.
Vorrei lasciarmi alle spalle tutta questa sabbia che mi impolvera le mie otto zampette.
Vorrei poter vedere cose nuove e sopratutto vorrei avere a che fare con il mondo ricco, non come te per esempio.
Sterk, un po' rattristato, guarda la dama che con quattro zampette si pulisce le altre quattro ancora appoggiate in terra e le chiede.
È come pensi di fare dama ? Come pensi di scappare dal tuo mondo ?
Non capisci nulla Sterk, guarda laggiù, i due del fuoristrada si sono fermati ed hanno lasciato aperta la porta del fuori strada ed il loro zaino. Mi infilerò dentro e mi farò portare via da loro, ovunque vadano.
Ma dama, a voce bassa sussurra il sempre più triste Sterk, questo significa che non ci vedremo mai più.
Che mi importa, fredda e secca, risponde la dama bianca.
Io sono di alta classe, sarò ammirata e potrò dare sfoggio della mia infinita classe, mentre tu.....tu misero, continuerai a muoverti nella sabbia di questo arido deserto.
Così, quei due tipi alla guida del fuoristrada, ignari di aver con se un ospite, anzi una elegantissima e nobile ospite, terminano il loro meraviglioso tour attraverso il Sud Africa, la Namibia ed il Botswana.
Con grande rammarico riconsegnano Jumba, la fedele compagna motorizzata la quale ha consentito loro di percorrere più di 7000 km molti dei quali su sterrati sabbiosi e piste fangose.
Si sono girati indietro non per un addio bensì per un arrivederci e sono ripartiti, come sempre fanno, per tornare ad essere ciò che realmente sono, ovvero dei sognatori i quali sognano di viaggiare e poi viaggiano davvero, per sognare ancora e ripartire nuovamente.
Questi due tipi, che altri non sono se non .....noi, arrivano a casa.
Un freddo artico avvolge il paese e le temperature sono abbondantemente sotto lo zero.
La dama bianca, ancora nascosta dentro lo zaino, inizia ad avvertire una sensazione mai sentita prima.
Le otto zampette tremano e il fiato si condensa sembrando fumo uscire dalla bocca.
Ad un tratto sente lo zaino aprirsi ed una corrente gelida le attraversa le membra.
Sente la voce di Gianni che chiede a Gisella: la roba che c'è nello zaino dove la posso mettere ?
Lei risponde: tira fuori tutto e lascia sul tavolo.
La dama sente lo zaino capovolgersi ed un grande frastuono la catapulta, insieme a tutto il resto su un tavolo in legno.
Lei cade, il freddo ancora più pungente di una casa lasciata con il riscaldamento spento per settimane quando fuori è sotto zero le riporta alla mente il caldo del suo deserto, le notti fresche e stellate trascorse a parlare con il suo amico Sterk.
In quel momento si rende conte di quanto la sua voglia di apparire le abbia tolto la capacità di essere.
Si riprende dalla botta subita cadendo sul tavolo, si mette a correre con un unico obiettivo: tornare a casa, nel suo mondo, nel suo essere.
Mentre corre vede un ombra, le pare grande, come quella che Sterk ( il suo amico stercoraro ) genere facendo rotolare una pallina di sterco per chilometri.
L'ombra si avvicina e lei ruotando il capo si gira cercando il suo fedele amico sino a quando....SBAAANNNG !!!!
Una botta tremenda la uccide.
Tutto a posto urla Gisella dalla camera da letto ?
Si tutto ok, risponde Gianni dalla sala, c'era solo un ragno.......

La dama bianca, tipico ragno di color bianco la quale ha la caratteristica di sollevare le zampe anteriori se attaccata o impaurita, noi l'abbiamo vista.
Sterk, il simpatico scarafaggetto che di mestiere sposta merda altrui per la savana, noi l'abbiamo visto.
Nonostante la storia, nessuno dei due è davvero morto e nessuno dei due è mai partito, come in tutti i film è solo finzione.
Ciò che invece non è finzione è il nostro essere stati rapiti da questo mondo e da chi in esso trova ogni giorno la vita.
Un mondo talvolta selvaggio, dove il confronto fra uomo e natura è quotidiano e costante.
Dove tu uomo non ti senti più quel Superman metropolitano bensì scopri di essere un nulla mischiato con nessuno e somigliare molto più ad un invitante pasto per un animale predatore piuttosto che una caviglia da mordere da un serpente o, se sei vicino alla corte della dama bianca, un bel morso velenoso.
Rientriamo da un mondo dove non chiudi  la porta per evitare che entrino le mosche....
Rientriamo da un mondo dove non accendi il fuoco con l'unico scopo di farci da mangiare sopra.
Rientriamo da un mondo dove uomini e animali sono liberi di abitarvi, tutti !
Liberi di essere parte di quel mondo significa liberi di cercare di sopravvivere, ogni giorno, ogni notte.
Rientriamo da un mondo che talvolta ci ha intimorito, talvolta ci ha impaurito, sempre però ci rapito e stupito.
Lo lasciamo come lo abbiamo trovato, nel rispetto di una natura che mai come in questo viaggio, ci ha dimostrato di essere viva ed esplosiva.
Rientriamo verso la nostra fredda casa, ma avendo avuto cura prima di controllare che nessuna dama bianca avesse chiesto l'autostop.
Rientriamo senza esserci dimenticati di tutte le persone incontrate ( a dire il vero poche per fortuna ) e di tutti gli esseri viventi che non appartengono alla categoria umana ( tanti per fortuna ).
Dal millepiedi gigante, passando per la iena, il ghepardo, il suo cugino leopardo, le mille zebre, i rinoceronti, i ciccionissimi ippopotami, i temibili ma catalizzanti elefanti ed infine, ma non perché meno importante, il piccolo e laboriosissimo stercoraro.
Chiedo a Gisella, di tutti le creature viste, se tu dovessi nascere animale, cosa sceglieresti ?
Leopardo ovviamente, mi risponde Gisella.
E tu, mi chiede.
Io.......se nascessi animale vorrei avere la forza dell'elefante, l'astuzia del ghepardo e vorrei starmene tutto il giorno a mollo nell'acqua come l'ippopotamo.......però probabilmente il destino mi farebbe nascere stercoraro e sposterei merda tutto il giorno, come sempre !

Questo viaggio finisce, ma non i sogni ed i nuovi desideri che esso ha generato.
Abbiamo vissuto esperienze importanti, da soli, sapendo che la sola forza che si ha è la forza che siamo o sappiamo essere.
Abbiamo visto visi nuovi, conosciuto amici ancora nascosti, ci siamo immersi nel loro mondo ma cercando di scapparne ed essere soli, così come piace a noi, appena possibile.
Questo viaggio ha avuto inizio e fine a Johannesburg, è come una lancetta di orologio ha girato in senso orario portandoci a percorrere una sorta di anello da est verso ovest, poi a nord, nuovamente a est per poi tornare a sud.
Abbiamo respirato l'aria secca dei deserti è quella umida delle foreste del Nord.
Abbiamo percorso piste polverose e sabbiose per poi immergere il fuoristrada sino al cofano nei guadi e nelle pozze delle foreste.
Abbiamo passato notti sotto stelle sconosciute e ascoltato ruggiti dare fine ad una vita.
Vorremmo essere li anche ora, vorremmo ritornare sotto quei cieli e lasciare che il mondo si fermi per noi.
Mi piacerebbe davvero chiudere gli occhi e risvegliarmi di fronte alla duna che ho salutato mentre il nuovo anno nasceva.
Mi piacerebbe......ma occorre tornare perché questo è l'unico, vero modo per poi poter ripartire.
Un passo alla volta, come sempre, anche solo un metro alla volta, ma mai mollare, andare, proseguire senza fermarsi mai e sopratutto cercando di conquistarteli davvero quei metri.
Esattamente come Sterk, il quale spingendo a braccia quella sua pallina di cacca, chissà ora dove sarà arrivato, chissà quanta strada avrà fatto e chissà.....se un giorno sentirà nuovamente l'aria di un fuoristrada che gli passa accanto, chissà.....potrebbero essere quei due che nella storia, e speriamo solo nella storia, avevano dato un passaggio alla sua dama.

Emozioni e sensazioni:
La Namibia ci ha stregato per la sua infinita vastità desertica. Mille colori, mille sabbie e rocce. Sfumature che si intersecano fra loro come se un pittore le avesse debitamente studiate ed abbinate.
Il vento caldo che ti asciuga gli occhi e ti inaridisce la gola altro non è se non il respiro di un deserto sconfinato il quale termina solo nell'istante in cui ha inizio l'oceano.
La Namibia fa sognare.

Il Botzwana ci ha tolto il fiato, talvolta facendo tremare la mani e sussultare il cuore.
Il suo essere selvaggiamente verde richiama una moltitudine di animali che vivono, uccidono e muoiono raccogliendosi attorno alle pozze d'acqua e facendosi ammirare nel loro habitat facendoti sentire quasi fuori luogo.
Dormire in Botzwana, nel buio della notte illuminata solo da mille stelle e sonorizzata con mille suoni animali, è un momento di estrema maturità per noi bipedi. Un istante che riaccende il desiderio di restare.
Il Botzwana è terribilmente attraente.

Il Sud Africa, sebbene un po' trascurato in questo nostro viaggio, ha saputo regalarci forti contraddizioni e farci meglio comprendere la stupidità umana del separare esseri, fra loro uguali, a meno del colore.
Gli infiniti rettilinei, le strade spesso pericolose ed una natura anche qui esplosiva, ci rapivano gli occhi oltrechè il cuore.

Viaggio in pillole:
Mezzo utilizzato: Toyota Hilux
Problemi meccanici: Nessuno
Pneumatici forati:Nessuno 
Problemi di salute: Nessuno
Rompicoglioni Incontrati: Uno ( ma non dirò il suo nome, però è svizzero )
Multe prese: Una in Botzwana ( causa eccesso di velocità, costo verbalizzato 720 Pula. Multa pagata dopo contrattazione 220 Pula senza scontrino.... )

Alcune regole di guida:
Il volante è di fronte al sedile di destra......
Quando deciderete di mettere la freccia accenderete i tergicristallo....
Quando pioverá invece, metterete la freccia......
La corsia più lenta è quella di sinistra......
La voce che vi arriva da sinistra, presumibilmente,  è quella di vostra moglie.
Agli stop, ha la precedenza solo chi si è arrivato prima ( ovvero, ad un incrocio a 4 strade, se 4 auto giungono, avrà la precedenza a transitare chi per primo è arrivato allo stop. Siccome fra il primo ed il quarto passano pochi istanti, vi immaginate voi in Italia cosa accadrebbe ??? )

Per tutto il resto.....godetevi il paesaggio ma attenzione ad una cosa importantissima....
Occhio al mio amico Sterk !!!!

Viaggio terminato, sogno realizzato.
Si sogna per viaggiare.
Si viaggia per sognare.

Mai mollare, mai fermarsi, 

G&G










8 gennaio 2017

Il barrito del Botzwana

  Ci lasciamo alle spalle l'area desertica e arida della Namibia del sud e del centro e, poco a poco, ci avviciniamo ad una lingua di terra denominata Caprivi Strip posta al nord.
Questa zona, improvvisamente si presenta come uno smeraldo luccicante, verde e rigoglioso nel suo essere ricco di natura.
Iniziamo a scorgere i primi villaggi realmente abitati da chi riconosci essere un uomo felice.
Un sorriso, tutto ciò che hanno, ma non lo nascondono mai, nonostante vivano in baracche di fango e legno.
Le donne, i mille bambini, gli uomini, sanno di pulito e felice nonostante, apparentemente abbiamo meno di noi.
Li guardo e scruto in ognuno di loro quell'essere appagati e gioiosi di vivere che, io per primo, noi tutti dovremmo sempre avere.
Poi invece, il nostro voler essere o forse apparire più di altri ci porta a stringere i pugni, ringhiare alla vita e non essere mai nelle condizioni per dire grazie, quel grazie che nulla costa ma tanto rende quando ti svegli al mattino e senti di avere ancora un respiro da donare al mondo.
Diversi check point si susseguono e scopriamo come quest'area sia anche soggetta a restrittivi controlli sul trasporto di eventuale carne.
Al fine di evitare il diffondersi di malattie come afta epizotica, le carni degli animali allevate in determinate aree sono vietate nel  resto del paese.
Osservo quei bambini che giocano con il nulla e quegli adulti che del nulla fanno motivo di dialogo.
Ripenso alla mia vita, a quella di molti come come me i quali, ogni giorno, cercano un modo per essere il centro di un argomento senza mai pensare che per una volta il centro sia di altri e per una volta nella vita quindi, si sappia solo ascoltare.
La frontiera con il Botzwana si avvicina e a darci il benvenuto troviamo un gruppo di babbuini, maschi e femmine con in grembo i loro piccoli.
Osservandoli non ho dubbi riguardo la nostra discendenza da loro.
Sono come noi, semplicemente si vogliono più bene, e forse in questo sono migliori.
La frontiera, rispetto a molte altre passate, risulta essere semplice ed in poco tempo siamo fuori.
Ci dirigiamo verso il punto di accesso del parco Chobe, uno dei luoghi più selvaggi della terra nonostante celi in se stesso mille contraddizioni.
In questo parco, regna selvaggia una natura animale spaventosamente bella. In questo parco non vive uomo. In questo parco ci puoi venire in aereo e dormire in lodge da 2000 dollari a notte oppure, corazzati il cuore e decidi di affrontare le impervie piste sterrate di argilla densa ed appiccicosa come il miele e dormire in tenda nella notte nera, quel nero che se non hai mai visto una notte sollevando il capo quando sei davvero solo e lontano dal mondo, non sai cosa sia.
Noi, scegliamo quest'ultimo.
La strada asfaltata si fa stretta, ad un tratto un cartello ci indica che l'asfalto sta per terminare.
Alzo lo sguardo e di fronte a me scorgo una immagine che sino a quel momento avevo visto solo nei documentari.
Una strada rossa di argilla, più stretta del fuoristrada si staglia in salita di fronte a noi.
Ai lati una gran vegetazione di piante verdi e sul terreno due solchi che, come binari mi incanalano la vettura su di essi senza lasciarmi possibilità di iniziativa.
Inserisco le quattro ruote motrici ed entro in apnea, agendo sull'acceleratore con la stessa delicatezza con la quale afferreresti una rosa.
Il veicolo inizia a salire, verso un orizzonte che non conosco ed incuneandosi sempre più nel nero di una foresta ricca di vita.
I chilometri che dovremo percorrere in quelle condizioni sono tanti, circa duecento, e vedere scorrere i metri di fronte a me uno dopo l'altro lentamente come se non dovesse esserci un futuro, questo mi riporta indietro al viaggio fatto in Mongolia.
Anche per quel viaggio e quelle strade, il metro era diventata la mia unità di misura, ed ogni metro conquistato,era un respiro o forse un sospiro.
Ma in Mongolia, tolto i lupi la notte, non dovevo preoccuparmi di altro se non della strada.
Qui è diverso.
Enormi cacche, popò, escrementi e chiamateli come volete, sono sulla sottilissima striscia di terra che stiamo seguendo, Gisella ed io, soli come sempre.
Non sono un esperto di animali ne tantomeno un talento in finezza e bon ton, per questo ad un tratto, pur in apnea per la guida in quelle condizioni, prendo il coraggio di parlare e dico a Gisella " una merda così grande può uscire solo da un culo altrettanto grande......e le antilopi ce l'anno piccolino"
Quindi ? mi risponde lei.
Quindi sono elefanti !
Il Botzwana infatti, è il luogo della terra con la più alta concentrazione di elefanti, ma non solo ovviamente.
Un regno animale che vive e liberamente si sposta la dove noi, usurpatori e finti conquistatori, pensiamo di poter andare senza essere disturbati.
I metri passano e con essi i chilometri anche se la velocità media non supera i venti chilometri all'ora.
Guadi e fango, argilla e sabbia, tronchi spezzati e arbusti, tutto pare mettersi contro noi ed il metro posto di fronte.
Una salita viscida e stretta si presenta in tutta la sua crudezza di fronte a noi, io inserisco la seconda ed accelero come se volessi sfondare il muro di paura che mi immobilizza le gambe e mi fa tremare le mani.
La macchina si scuote sul fango viscido e tutto all'interno dell'abitacolo traballa e vibra.
Ad un tratto sentiamo dal lato sinistro un urlo, quasi un ruggito, ma girando più d'istinto che per curiosità il capo, capiamo in un attimo che non si tratta di un ruggito bensì l'urlo, pieno di forza di un elefante enorme, il suo barrito.
Istintivamente cerco di accelerare ma l'argilla e la salita frenano l'ansimante procedere di jumba, il nostro fuoristrada.
Guardo negli specchietti retrovisori per capire se il gigante ci stia seguendo ma non vedo nulla sino a quando Gsella, d'impeto, mi urla frena ....frena cazzo.
Di fronte a noi il resto del gruppo, bellissimi e nel contempo terrificanti nel suo essere enormi.
Un piccolo, quasi faticando a compiere i primi passi attraversa la pista.
Io fermo la macchina, preso come sono a biscotto fra il branco di fronte a me e il maschio alle mie spalle.
Non posso fare nulla se non, fare ciò che la natura forse mi ha chiesto di fare portandomi li in quel momento, osservare.
Il gruppo protegge il cucciolo, e poi come sono arrivati se ne vanno.
Le mani tremano, le gambe sono di pietra ma occorre procedere.
E così metro dopo metro, elefante dopo elefante, osservando e cercando di respirare l'aria di una natura che per noi è più un documentario che una giornata di vita, arriviamo dove trascorreremo la nostra notte.
Fermo il fuoristrada, come sempre tiro fuori le sedie ed il tavolo ed iniziamo a prepararci per la cena.
Siamo seduti di fianco ad un fuoco improvvisato mentre mille rumori attorno a noi fanno salire i brividi nonostante i quasi 40 gradi di temperatura.
Rifletto su quale sia in quel momento il nostro essere.
Rifletto su come si stia vivendo una vita, comunque normale nonostante dietro o di fronte a noi, nel buio della notte, magari vi sia il nostro destino nascosto dietro un cespuglio.
Rifletto sul fatto che i bagni, posti circa a cinquecento metri dal nostro fuoristrada in mezzo al bosco, abbiano l'alta tensione e dei blocchi di cemento con ferri acuminati a proteggervi l'ingresso.
Rifletto che il nostro approccio, a meno del fuoco, è del tutto simile a quello che avremmo se fossimo in un campeggio al mare in Italia, dove se va male ti punge una vespa.
Qui, se va male a pungerti è il leone......
Ne parlo con Gisella, la quale non accenna a smettere di assaporare l'insalata di pomodori appena preparata.
Poi, mi guarda e sorridendo mi dice " preferiresti essere in Toscana ?"
.....abbasso il capo, sorrido anche io e, afferrando la forchetta con la mano destra assaggio i pomodori del Botzwana, che non saranno sicuramente meglio di quelli toscani, ma il fatto di averli digeriti e quindi essere vivo, li rende unici.
Due metri da terra, questa è la distanza che separa me e Gisella dal suolo ora.
Siamo in tenda, chiusi dentro sul tetto del fuoristrada.
Io scrivo, lei legge e pianifica la tappa di domani.
Gli ippopotami, le giraffe, le antilopi e tutti gli animali visti oggi fanno parte del passato.
Domani sarà futuro e noi viviamo per questo.
Domani sarà ancora Botzwana e noi viaggeremo per questo.
Stanotte che sarà ?
Ve lo diremo al prossimo post, il fuoco si è spento e noi dobbiamo spegenere le luci della tenda.
Il silenzio della notte sarà il sottofondo di una vita che qui non si ferma mai.

Buona notte















 




4 gennaio 2017

La Iena e la Gazzella

Dunque......dopo tutti questi chilometri e le migliaia di immagini indelebilmente impresse nella mia mente, fatico un po' a tornare sui miei passi e ricordare dove mi fossi fermato a raccontare.
Come sempre faccio, non rileggo mai ciò che scrivo, proprio perché non voglio sia un racconto studiato bensì solo una semplice trasposizione di emozione da un livello mentale ad un foglio, sebbene questo non sia più di carta ormai.
Ah si ecco, ci siamo lasciati di fronte ad una pozza dove la vita rinasce anche in luoghi remoti ed aridi.
Ed è da lì che ripartiamo, macinando chilometri come se fossero respiri, risaliamo la skeleton coast, ovvero la costa della Namibia posta ad ovest sull'atlantico e su quello che solo un mare così vivo può regalare o talvolta togliere.
La skeleton coast è famosa a causa delle forze delle sue onde che impattano su una costa inviolata dall'uomo e resa unica dal fatto di essere la fine di una immensa distesa di sabbia e dune che nasce ad est e, sinuosamente, si inabissa.
I mari di quella zona sono da sempre un'area prediletta per le creature che vivono il mondo di sotto, ovvero i pesci.
Inevitabilmente questo aspetto attira tutti coloro che degli abitanti del mondo di sotto vanno a caccia.
In primis i pescatori, i quali nel corso dei secoli hanno solcato questi mari, queste onde e su queste secche di sabbia, talvolta, si sono arenati trovando la morte.
Ma non vi è solo l'uomo a vivere di ciò che il mare offre ed oggi noi siamo qui per loro.
Nella zona di Cape Cross, vive la colonia più grande di otarie del capo.
Una famigliola di circa centomila, puzzolenti, stridenti e assonnate foche
Il periodo delle nascite avviene all'incirca fra novembre e dicembre e Gisella ed io ci troviamo catapultati in un mondo fatto di migliaia di piccole foche nere, con le loro mamme e a troneggiare su qualche scoglio i maschi dominanti.
L'olezzo è talmente forte che a stento tratteniamo i conati di vomito, ma questo non ci fa desistere e scendiamo verso il mare facendoci spazio fra queste creature atipiche per noi bipedi.
Sono sgraziate e talvolta ridicole mentre saltellano un po' strisciando con le loro zampette storte.
Diventano delle signore della danza, rapide come saette quando raggiungono l'acqua.
Stiamo insieme a loro per ore, solo noi e le otarie del capo.
Sino a quando il tempo non ci chiama e ci sussurra che dobbiamo ripartire.
Risaliamo verso nord ma spostandoci verso est, lasciando il mare e spostandoci verso il centro, caldo e affollato di altre creature per noi mitiche e misteriose.
Viaggiamo per circa seicento chilometri nel silenzio frastornante del vento di terre desertiche, percorrendo infiniti rettilenei di piste sterrate che tagliano in due distese di sabbia come un fendente lascia il segno su una tela ancora da dipingere.
Arriviamo verso sera, e qui sera significa le diciotto, presso un parco che ha come caratteristica principale quella di accogliere molti ghepardi.
Tre di loro però, sia da quando avevano una settimana, vivono come fossero gattini domestici con il loro padroni e nel contempo salvatori.
Questa coppia infatti, anni fa decise di abbandonare la vita che noi definiamo normale, per dedicarsi alla salvaguardia di questi felini.
I tre......gattini, sono lì ad aspettarci, ed il suo padrone, dopo avermi fatto togliere gli occhiali da sole in quanto potrebbero riflettere il viso del felino e far nascere in lui desideri intrinsecamente celati sotto i denti accuminati, ci invita ad accarezzarli.
Gisella, d'impeto e grazie anche alla sua proverbiale passione per i gatti, si getta su questi giganteschi mangiatori di carne e li tratta come fossero gli aristogatti, Minù e compagnia.
Io, con il cuore in gola, vengo sollecitato da Gisella ad inchinarmi e lasciarmi andare alle coccole per i gracili e affettuosi ghepardi.
La natura gli ha resi famelici ed assassini, la natura ha dato loro la capacità di uccidere senza rimorsi di coscienza. Che si tratti di antilopi, facoceri, gazzelle o uomini, loro uccidono e lo fanno per natura, non per cattiveria, quindi non li critico, anzi.
Ma da lì a sentirmi a mio agio con la lingua rasposa del ghepardo che leccandomi la mano assapora già una cenetta tipica italiana.....beh ecco questo gesto proprio sereno non mi faceva stare.
La sua lingua, il suo fiato, le sue unghie erano ad una spanna dal mio viso.
E credo, sebbene un ghepardo non sappia leggere, abbia visto nei miei occhi la scritta.....PAURA !!!
Lasciamo i gattini e ci dirigiamo poco lontano dove passeremo la notte. 
Un nuovo giorno ci aspetta e dovremo attraversare un'area densa di animali la quale oggi è parco ed il suo nome è Etosha.
Il mattino da queste parti ha il fiato corto, ovvero alle ore sei siamo già in movimento ma d'altronde è anche vero che alla sera alle ore venti siamo già rinchiusi della tenda posta sul tetto del fuoristrada.
Entriamo nel parco e a poco a poco iniziamo a scorgere mille creature.
Le solite antilopi saltanti, le quali pascolano libere con il musetto chino a cercare quel poco di erba che la natura di questi luoghi regala ma con le orecchie tese ad ascoltare rumori per carpire, un millesimo prima di perire, l'arrivo di un predatore.
Da lì a poco due Iene maculate escono allo scoperto davanti al fuoristrada.
Hanno il viso crudele e la bocca sa di sangue e di carogna.
Fanno paura, sia per il fisico tozzo e muscoloso sia perché la loro mascella è fra le più forti in natura.
Il giorno trascorre fra chilometri di piste immerse in un mondo di creature fantastiche e le creature stesse.
Giraffe, scimmie, facoceri, zebre, ancora gazzelle e antilopi, rinoceronti ed ancora mille altre emozioni ci portano ad est, sino a dove siamo ora ovvero appena fuori dal parco.
La notte scende presto e con essa salgono vivi e forti i rumori della natura.
Questo post lo stavo scrivendo seduto fuori dal fuoristrada ma ad un tratto, mille rumori di animali, seguiti da qualche ruggito mi hanno fatto propendere per una posizione meno comoda ma, spero, più sicura.
Siamo entrati nella tenda e mentre Gisella rilassa le membra distesa sul suo sacco a pelo, io scrivo cercando di raccontare le esperienze di un giorno intenso.
Intenso come quello della gazzella che stasera cercherà  rifugio saltando la strada e rifugiandosi dentro i cespugli di erba spinosa che qui crescono in gran quantità.
Intenso come quello della Iena che, proprio a quest'ora come tutti i predatori, avrà iniziato la sua disperata ricerca di un pasto.
Tutti fanno qualcosa per vivere e per sopravvivere.
Chi cerca disperatamente di non essere ucciso e chi cerca invece disperatamente di uccidere.
Tutti, davvero tutti, vivranno una notte indimenticabile e, solo qualcuno, domani mattina potrà raccontarla.
Sono giunto alle ultime righe del post di oggi, vorrei andare oltre, potere e saprei andare oltre per ore ma credo sia meglio spegnere la luce la quale attira attenzioni dall'esterno.
Cerco nel mio sacco a pelo il rifugio per la notte così come la gazzella nel cespuglio.
Chiudo gli occhi e lascerò che la notte viaggi veloce trasportando i miei sogni al mattino.
Domani sarà ancora avventura, sarà vita.
O per la gazzella o forse per la Iena......speriamo anche per noi.

Notte mondo.
















31 dicembre 2016

Happy new year from paradise.

Gli eterni rettilinei del Sud Africa lanciano lo sguardo oltre l'orizzonte immaginario di chi, come noi, vorrebbe sempre fosse infinito.
In lontananza scorgiamo le bandiere di un posto di frontiera, ovvero quell'assurdo limite che l'uomo ha dato al proprio essere.
La frontiera che separa il sud Africa dalla Namibia è di fronte a noi.
Ci avviciniamo, come sempre, con grande circospezione consci del fatto che il passaggio di una frontiera è un momento delicato di un viaggio ma sopratutto consci, o forse esperienziati, da mille frontiere farlocche che ci hanno bloccato per ore se non per intere giornate in altri viaggi passati.
Fermo il fuoristrada in corrispondenza della sbarra, che nel suo essere storta, blocca comunque la pista sterrata.
Un uomo, non dico nero in senso dispregiativo, anzi.
Dico nero perché davvero nero come solo la notte africana può essere, ci si avvicina e con un perfetto inglese ci chiede i documenti.
Controlla come di consueto i nostri dati, come di consueto nuovamente si stupisce di tutti i visti ed i timbri che abbiamo sui nostri passaporti ( se sapesse che abbiamo già dovuti rifarli più volte a causa del fatto che non vi erano più pagine disponibili....... ).
Ci scruta negli occhi mentre controlla le fotografie dopodiché, si fa di colpo affettuoso, ci prende da parte e ci chiede se, essendo lui Namibiano di un paese distante circa 200 km dalla frontiere, potessimo noi dargli un passaggio a casa.
Io guardo Gisella, lei annuisce, io faccio cenno di sì con la testa e dopo neppure un minuto, me lo ritrovo seduto in auto.
Cambiato, ripulito e profumato come uno di quei deodoranti da auto che si appendono allo specchietto, si siede dietro di me, ovvero nel sedile posteriore destro.
Io ingrano la prima e parto per questo trasferimento da taxista di 200 km sterrati in mezzo al nulla, con il mio nuovo amico Jacobs seduto alle mie spalle.
Un tipo taciturno, come piace a me è come forse sono io.
Gli poniamo qualche domanda, ma ricevendo come risposta solo alcuni "yes" ed altrettanto "no" desistiamo e ci rimettiamo a parlare in Italiano.
In circa un paio d'ore arriviamo al paese che il mio nuovo amico ci aveva indicato ovvero Keetmanshoop. Scende dall'auto in tutta fretta, mi stringe la mano augurandomi buon viaggio mentre per Gisella neppure uno sguardo.
In molti luoghi della terra, purtroppo la donna continua ad essere considerata non alla stregua dell'uomo, e qui dove siamo noi è così.
Ripartiamo e ci avviciniamo poco a poco alla costa atlantica della Namibia, diretti a Luderitz ovvero una cittadina nata grazie alla forza imprenditoriale di un tedesco, di nome appunto Luderitz.
Tornerò nuovamente sul concetto di " forza imprenditoriale" fra breve...
Quest'uomo, già ricco di suo, possedeva una azienda la quale costruiva ferrovie.
Un suo povero ma diligente operaio, durante le attività di scavo, scopri una pietra strana.
La sua diligenza ed il suo senso del dovere, spinsero l'operaio a consegnare al suo datore di lavoro la pietra.
Quest'ultimo, facendola analizzare da laboratori di ricerca in Germania, scoprì che si trattava di un diamante.
Da lì, il buon Luderitz, cambio lavoro, dando vita ad una grande ricchezza grazie agli scavi ed ai successivi ritrovamenti di diamanti.
Tornando sul concetto di forza imprenditoriale.....la modificherei leggermente definendola " colpo di culo" e non voglio pensare a quel povero operaio, che se va bene, si sarà preso un aumentino....nulla al confronto con il valore del diamante.
Ora, circa mezzo secolo dopo, la città vecchia è totalmente abbandonata, mentre la città che si staglia sulla costa atlantica è viva anche se presenta in tutta la sua bellezza una stato di semi abbandono latente.
La Namibia, che da sempre la identifico mentalmente con il colore rosso acceso, si estende verso l'interno con uno dei più grandi e antichi deserti, in Namib.
Ci lasciamo il mare alle spalle e puntiamo dritti verso una delle zone più aride al mondo insieme al deserto, anch'esso visitato, dell'Atacama.
Percorriamo circa quattrocento chilometri di piste sterrate in un mare di rocce e sabbie dai colori che mutano in continuo mano a mano che ci spingiamo verso l'interno.
Il terreno, anch'esso cambia di continuo, intervellando sterrati veloci a cumuli di sabbia per poi cambiare ancore e dare origine a pozze di ghiaia che paiono inghiottire le ruote del fuoristrada.
Occorre guidare con attenzione in quanto, anche a causa della mia inesperienza, l'auto ondeggia e pare andare non dove io vorrei bensì dove la sabbia vorrebbe, ed in genere lei vorrebbe farmi andare fuori dalla pista....
Sono abituato a non distrarmi molto mentre guido la moto, la quale se vogliamo è sicuramente più complessa, ma non nascondo che di tanto in tanto vorrei poterlo fare.
Gisella invece, dotata di super tecnologia di tutti i tipi, passa da una delle tante telecamere che abbiamo con noi ad una delle altrettanto tante macchine fotografiche.
Fissa ed immortala ogni anfratto, cercando di centrare l'obiettivo mentre il fuoristrada salta e si scompone come fosse imbizzarrito.
Scorgiamo in lontananza il rossore delle famose dune, le stesse per le quali ci siamo spinti sino a qui.
La strada diventa improvvisamente asfaltata regalando a noi ed alle nostra ossa scekerate dai continui sobbalzi del terreno ( in gergo dicesi toluè ondulè ) una cinquantina di chilometri di pace e relax.
Così come nato però muore, ed improvvisamente l'asfalto scompare lasciando spazio a sabbia, solo sabbia ovunque.
Poco male, dico io ho il 4WD...
Mi lancio nella sabbia come un bimbo al primo giorno delle vacanze al mare.
I primi chilometri mi sento come un professionista dell'off road.
Lo spessore della sabbia aumenta e con esso diminuisce il mio senso di onnipotenza.
Il fuoristrada, anche sotto il peso della cellula dentro la quale non solo dormiamo, ma vi sono stipate bombole per il gas, doppi serbatoi del gasolio, un serbatoio per l'acqua, due ruote di scorta, un sollevatore che da solo pesa quanto me e altri mille accessori, il fuoristrada dicevo rallenta e nello spazio di un metro appena sprofonda nella sabbia incandescente del Namib.
Provo ad inserire le ridotte, cerco disperatamente di uscirne ma ogni tentativo non fa altro che peggiorare la situazione rendendo il fuoristrada sempre più simile ad un mezzo strisciante e facendo definitivamente svanire in me ogni senso di sicurezza.
Scendo dall'auto sconsolato, guardo le ruote praticamente ingoiate dalla sabbia e incrocio lo sguardo di Gisella la quale, pur non mollando mai, si vede già a camminare per ore nel deserto, sotto un sole ardente.
Come sempre, come successe nel deserto in Tunisia, mi prendo quella manciata di secondi per riflettere.
Fra i vari accessori in dotazione al fuoristrada ci sono anche due piastre apposite da collocare sotto le ruote nel caso ci si insabbi.
Sto per incunearmi nella cellula per prenderle quando sentiamo il rumore di un motore.
Un altro fuoristrada sta arrivando, alla guida c'è un uomo di colore, scopriremo dopo essere un locale che accompagnava dei turisti.
Lui percorre la pista a destra, mentre io ero a sinistra e forse questo è stato il mio errore, peccato che qui si guidi a sinistra ed io, ligio come sempre alle regole.............le rispettavo anche in mezzo al deserto.
Si ferma, mi si avvicina, entra nell'abitacolo e controlla che il turista bianco avesse inserito le ridotte.
Dopodiché mi fa segno di salire alla guida, lui appoggia le sue enormi manone sul cofano, mi dice di accelerare e con una spinta ciclopica mi spinge fuori dalla situazione.
Il resto del viaggio sino alle dune ?......vi chiederete voi ....
Ebbene si, mi urta dirlo ma è la verità, siamo saliti sul fuoristrada del muscoloso Namibiano.
Le dune, il deserto, questo immenso mare di sabbia che pare essere un oceano infuocato privo di vita e di senso, ebbene come sempre, come in altre mille occasioni ci ruba lo sguardo, l'anima ed il cuore.
Non si vive in questi luoghi, o meglio noi non siamo in grado di farlo.
Eppure la vita esiste anche qui, anche dove il sole arde di giorno ed il freddo immobilizza la notte.
Ci guardiamo a vicenda, spesso senza parlare perché ci si rende conto che in luoghi del genere ogni frase sarebbe inopportuna.
Quando il caldo diventa davvero infernale, lasciamo le dune e scendiamo verso quello che millenni fa era un lago.
Li alcuni alberi fossili sono gli attori di un palcoscenico e di un musical che racconta la storia senza essersi dovuto inventare un copione.
Il vento spazza i capelli di chi li ha, gli occhi lacrimano e le labbra si seccano.
Rientriamo al fuoristrada, ormai so dove ho sbagliato e salgo su di esso con voglia di riscatto.
Controllo di avere le quattro ruote motrici inserite, ingrano la prima marcia ed insieme a Gisella usciamo dal mare di sabbia diretti al campo poco lontano.
Passiamo la notte in quel luogo Gisella ed io, accampati ad un nulla dalle dune rosse che poco prima quasi non ci rapivano davvero.
Sono le ore 15 del 31 di dicembre.
Con i 40.4 gradi dell'aria esterna la gola fatica a deglutire e si seccano gli occhi.
Ci pensano però le lacrime a bagnarli, quelle salate gocce di rugiada umana che sgorgano nell'essere qui ora.
Il fuoristrada giace silente di fianco a noi, riposa su uno strato soffice di sabbia che pare talco.
Noi, seduti fuori a goderci il vento caldo di un pomeriggio nel deserto del Namib, siamo a circa 20 metri da una pozza d'acqua.
Per noi, europei, occidentali, donne e uomini dal palato fine e dalla capacità disumana di non sapere cosa sia il vero valore della vita, per noi una pozza d'acqua non rappresenta pressoché nulla.
Qui, in questi luoghi, una pozza d'acqua è il centro del mondo.
Mentre scrivo, d'innanzi a noi sono già transitate zebre, oryx, giraffe e mille sorti di antilopi.
Noi siam qui pronti a festeggiare il nostro capo d'anno, così, nella semplicitá di essere liberi, senza vincoli di orario o di menù.
Un fuoco acceso per tenere lontano gli animali più aggressivi, un paio di uova, tre pomodori, una cipolla ed una bottiglia di vino sud africano con la quale brinderemo all'anno nuovo ben prima che quest'ultimo giunga. Per le 20 infatti, saremo a letto, perché a quell'ora i ragni e le mille forme striscianti della Namibia inizia a vivere.
Voi direte, poveretti questi due...
Noi diciamo, poveretti tutti coloro che stasera spenderanno cifre da capogiro per un cenone, mangiando male, prendendo freddo, dovendo sorridere per forza perché il contesto lo richiede.
Poveretti coloro che dovranno per forza attendere che la mezzanotte sia scoccata per chiudere gli occhi e sognare il domani.
Noi siamo qui, da soli ma con tutto ciò che in fondo è parte di un nostro sogno.
Un sogno che, come tutti i sogni, nasce e si incunea dentro di noi.
Farlo diventare realtà è cosa ben più complessa, occorre per esempio saper immaginare di vivere diversamente cose che, da sempre, abbiamo vissuto in altra forma.
Auguriamo buon anno a tutti i sognatori, a tutti i viaggiatori, anche quelli che viaggiano solo con la mente, perché proprio per loro nutro grande rispetto.
Viaggiare sempre, anche se con gli occhi chiusi, immaginare di essere altrove, immaginare di poter respirare venti lontani, osservare sguardi sconosciuti o forse solo il nero, talvolta spaventoso di una notte africana, questo......questo non è sognare....è ciò che stiamo vivendo....nel contempo si, è un sogno.

Buon anno a tutti.