31 dicembre 2016

Happy new year from paradise.

Gli eterni rettilinei del Sud Africa lanciano lo sguardo oltre l'orizzonte immaginario di chi, come noi, vorrebbe sempre fosse infinito.
In lontananza scorgiamo le bandiere di un posto di frontiera, ovvero quell'assurdo limite che l'uomo ha dato al proprio essere.
La frontiera che separa il sud Africa dalla Namibia è di fronte a noi.
Ci avviciniamo, come sempre, con grande circospezione consci del fatto che il passaggio di una frontiera è un momento delicato di un viaggio ma sopratutto consci, o forse esperienziati, da mille frontiere farlocche che ci hanno bloccato per ore se non per intere giornate in altri viaggi passati.
Fermo il fuoristrada in corrispondenza della sbarra, che nel suo essere storta, blocca comunque la pista sterrata.
Un uomo, non dico nero in senso dispregiativo, anzi.
Dico nero perché davvero nero come solo la notte africana può essere, ci si avvicina e con un perfetto inglese ci chiede i documenti.
Controlla come di consueto i nostri dati, come di consueto nuovamente si stupisce di tutti i visti ed i timbri che abbiamo sui nostri passaporti ( se sapesse che abbiamo già dovuti rifarli più volte a causa del fatto che non vi erano più pagine disponibili....... ).
Ci scruta negli occhi mentre controlla le fotografie dopodiché, si fa di colpo affettuoso, ci prende da parte e ci chiede se, essendo lui Namibiano di un paese distante circa 200 km dalla frontiere, potessimo noi dargli un passaggio a casa.
Io guardo Gisella, lei annuisce, io faccio cenno di sì con la testa e dopo neppure un minuto, me lo ritrovo seduto in auto.
Cambiato, ripulito e profumato come uno di quei deodoranti da auto che si appendono allo specchietto, si siede dietro di me, ovvero nel sedile posteriore destro.
Io ingrano la prima e parto per questo trasferimento da taxista di 200 km sterrati in mezzo al nulla, con il mio nuovo amico Jacobs seduto alle mie spalle.
Un tipo taciturno, come piace a me è come forse sono io.
Gli poniamo qualche domanda, ma ricevendo come risposta solo alcuni "yes" ed altrettanto "no" desistiamo e ci rimettiamo a parlare in Italiano.
In circa un paio d'ore arriviamo al paese che il mio nuovo amico ci aveva indicato ovvero Keetmanshoop. Scende dall'auto in tutta fretta, mi stringe la mano augurandomi buon viaggio mentre per Gisella neppure uno sguardo.
In molti luoghi della terra, purtroppo la donna continua ad essere considerata non alla stregua dell'uomo, e qui dove siamo noi è così.
Ripartiamo e ci avviciniamo poco a poco alla costa atlantica della Namibia, diretti a Luderitz ovvero una cittadina nata grazie alla forza imprenditoriale di un tedesco, di nome appunto Luderitz.
Tornerò nuovamente sul concetto di " forza imprenditoriale" fra breve...
Quest'uomo, già ricco di suo, possedeva una azienda la quale costruiva ferrovie.
Un suo povero ma diligente operaio, durante le attività di scavo, scopri una pietra strana.
La sua diligenza ed il suo senso del dovere, spinsero l'operaio a consegnare al suo datore di lavoro la pietra.
Quest'ultimo, facendola analizzare da laboratori di ricerca in Germania, scoprì che si trattava di un diamante.
Da lì, il buon Luderitz, cambio lavoro, dando vita ad una grande ricchezza grazie agli scavi ed ai successivi ritrovamenti di diamanti.
Tornando sul concetto di forza imprenditoriale.....la modificherei leggermente definendola " colpo di culo" e non voglio pensare a quel povero operaio, che se va bene, si sarà preso un aumentino....nulla al confronto con il valore del diamante.
Ora, circa mezzo secolo dopo, la città vecchia è totalmente abbandonata, mentre la città che si staglia sulla costa atlantica è viva anche se presenta in tutta la sua bellezza una stato di semi abbandono latente.
La Namibia, che da sempre la identifico mentalmente con il colore rosso acceso, si estende verso l'interno con uno dei più grandi e antichi deserti, in Namib.
Ci lasciamo il mare alle spalle e puntiamo dritti verso una delle zone più aride al mondo insieme al deserto, anch'esso visitato, dell'Atacama.
Percorriamo circa quattrocento chilometri di piste sterrate in un mare di rocce e sabbie dai colori che mutano in continuo mano a mano che ci spingiamo verso l'interno.
Il terreno, anch'esso cambia di continuo, intervellando sterrati veloci a cumuli di sabbia per poi cambiare ancore e dare origine a pozze di ghiaia che paiono inghiottire le ruote del fuoristrada.
Occorre guidare con attenzione in quanto, anche a causa della mia inesperienza, l'auto ondeggia e pare andare non dove io vorrei bensì dove la sabbia vorrebbe, ed in genere lei vorrebbe farmi andare fuori dalla pista....
Sono abituato a non distrarmi molto mentre guido la moto, la quale se vogliamo è sicuramente più complessa, ma non nascondo che di tanto in tanto vorrei poterlo fare.
Gisella invece, dotata di super tecnologia di tutti i tipi, passa da una delle tante telecamere che abbiamo con noi ad una delle altrettanto tante macchine fotografiche.
Fissa ed immortala ogni anfratto, cercando di centrare l'obiettivo mentre il fuoristrada salta e si scompone come fosse imbizzarrito.
Scorgiamo in lontananza il rossore delle famose dune, le stesse per le quali ci siamo spinti sino a qui.
La strada diventa improvvisamente asfaltata regalando a noi ed alle nostra ossa scekerate dai continui sobbalzi del terreno ( in gergo dicesi toluè ondulè ) una cinquantina di chilometri di pace e relax.
Così come nato però muore, ed improvvisamente l'asfalto scompare lasciando spazio a sabbia, solo sabbia ovunque.
Poco male, dico io ho il 4WD...
Mi lancio nella sabbia come un bimbo al primo giorno delle vacanze al mare.
I primi chilometri mi sento come un professionista dell'off road.
Lo spessore della sabbia aumenta e con esso diminuisce il mio senso di onnipotenza.
Il fuoristrada, anche sotto il peso della cellula dentro la quale non solo dormiamo, ma vi sono stipate bombole per il gas, doppi serbatoi del gasolio, un serbatoio per l'acqua, due ruote di scorta, un sollevatore che da solo pesa quanto me e altri mille accessori, il fuoristrada dicevo rallenta e nello spazio di un metro appena sprofonda nella sabbia incandescente del Namib.
Provo ad inserire le ridotte, cerco disperatamente di uscirne ma ogni tentativo non fa altro che peggiorare la situazione rendendo il fuoristrada sempre più simile ad un mezzo strisciante e facendo definitivamente svanire in me ogni senso di sicurezza.
Scendo dall'auto sconsolato, guardo le ruote praticamente ingoiate dalla sabbia e incrocio lo sguardo di Gisella la quale, pur non mollando mai, si vede già a camminare per ore nel deserto, sotto un sole ardente.
Come sempre, come successe nel deserto in Tunisia, mi prendo quella manciata di secondi per riflettere.
Fra i vari accessori in dotazione al fuoristrada ci sono anche due piastre apposite da collocare sotto le ruote nel caso ci si insabbi.
Sto per incunearmi nella cellula per prenderle quando sentiamo il rumore di un motore.
Un altro fuoristrada sta arrivando, alla guida c'è un uomo di colore, scopriremo dopo essere un locale che accompagnava dei turisti.
Lui percorre la pista a destra, mentre io ero a sinistra e forse questo è stato il mio errore, peccato che qui si guidi a sinistra ed io, ligio come sempre alle regole.............le rispettavo anche in mezzo al deserto.
Si ferma, mi si avvicina, entra nell'abitacolo e controlla che il turista bianco avesse inserito le ridotte.
Dopodiché mi fa segno di salire alla guida, lui appoggia le sue enormi manone sul cofano, mi dice di accelerare e con una spinta ciclopica mi spinge fuori dalla situazione.
Il resto del viaggio sino alle dune ?......vi chiederete voi ....
Ebbene si, mi urta dirlo ma è la verità, siamo saliti sul fuoristrada del muscoloso Namibiano.
Le dune, il deserto, questo immenso mare di sabbia che pare essere un oceano infuocato privo di vita e di senso, ebbene come sempre, come in altre mille occasioni ci ruba lo sguardo, l'anima ed il cuore.
Non si vive in questi luoghi, o meglio noi non siamo in grado di farlo.
Eppure la vita esiste anche qui, anche dove il sole arde di giorno ed il freddo immobilizza la notte.
Ci guardiamo a vicenda, spesso senza parlare perché ci si rende conto che in luoghi del genere ogni frase sarebbe inopportuna.
Quando il caldo diventa davvero infernale, lasciamo le dune e scendiamo verso quello che millenni fa era un lago.
Li alcuni alberi fossili sono gli attori di un palcoscenico e di un musical che racconta la storia senza essersi dovuto inventare un copione.
Il vento spazza i capelli di chi li ha, gli occhi lacrimano e le labbra si seccano.
Rientriamo al fuoristrada, ormai so dove ho sbagliato e salgo su di esso con voglia di riscatto.
Controllo di avere le quattro ruote motrici inserite, ingrano la prima marcia ed insieme a Gisella usciamo dal mare di sabbia diretti al campo poco lontano.
Passiamo la notte in quel luogo Gisella ed io, accampati ad un nulla dalle dune rosse che poco prima quasi non ci rapivano davvero.
Sono le ore 15 del 31 di dicembre.
Con i 40.4 gradi dell'aria esterna la gola fatica a deglutire e si seccano gli occhi.
Ci pensano però le lacrime a bagnarli, quelle salate gocce di rugiada umana che sgorgano nell'essere qui ora.
Il fuoristrada giace silente di fianco a noi, riposa su uno strato soffice di sabbia che pare talco.
Noi, seduti fuori a goderci il vento caldo di un pomeriggio nel deserto del Namib, siamo a circa 20 metri da una pozza d'acqua.
Per noi, europei, occidentali, donne e uomini dal palato fine e dalla capacità disumana di non sapere cosa sia il vero valore della vita, per noi una pozza d'acqua non rappresenta pressoché nulla.
Qui, in questi luoghi, una pozza d'acqua è il centro del mondo.
Mentre scrivo, d'innanzi a noi sono già transitate zebre, oryx, giraffe e mille sorti di antilopi.
Noi siam qui pronti a festeggiare il nostro capo d'anno, così, nella semplicitá di essere liberi, senza vincoli di orario o di menù.
Un fuoco acceso per tenere lontano gli animali più aggressivi, un paio di uova, tre pomodori, una cipolla ed una bottiglia di vino sud africano con la quale brinderemo all'anno nuovo ben prima che quest'ultimo giunga. Per le 20 infatti, saremo a letto, perché a quell'ora i ragni e le mille forme striscianti della Namibia inizia a vivere.
Voi direte, poveretti questi due...
Noi diciamo, poveretti tutti coloro che stasera spenderanno cifre da capogiro per un cenone, mangiando male, prendendo freddo, dovendo sorridere per forza perché il contesto lo richiede.
Poveretti coloro che dovranno per forza attendere che la mezzanotte sia scoccata per chiudere gli occhi e sognare il domani.
Noi siamo qui, da soli ma con tutto ciò che in fondo è parte di un nostro sogno.
Un sogno che, come tutti i sogni, nasce e si incunea dentro di noi.
Farlo diventare realtà è cosa ben più complessa, occorre per esempio saper immaginare di vivere diversamente cose che, da sempre, abbiamo vissuto in altra forma.
Auguriamo buon anno a tutti i sognatori, a tutti i viaggiatori, anche quelli che viaggiano solo con la mente, perché proprio per loro nutro grande rispetto.
Viaggiare sempre, anche se con gli occhi chiusi, immaginare di essere altrove, immaginare di poter respirare venti lontani, osservare sguardi sconosciuti o forse solo il nero, talvolta spaventoso di una notte africana, questo......questo non è sognare....è ciò che stiamo vivendo....nel contempo si, è un sogno.

Buon anno a tutti.






















Un solo colore, quello del mondo

28 Dicembre 2016, ore 20 in Italia, le 21 qui in Sud Africa.
Siamo seduti fuori Gisella ed io, il fuoristrada è alle nostre spalle, si suda tanto fa caldo con i suoi 33 gradi la serata non sembra regalare il fresco necessario per ritemprarsi dopo la lunga giornata.
Abbiamo le gambe sollevate da terra così da evitare contantti indesiderati con abitanti del luogo.
Qui siamo a casa loro e dobbiamo rispettare questo concetto, ribandendolo mille volte nelle nostre menti, tante quante sono le loro zampette che muovendosi ad una velocità supersonica rendono questi enormi grissini neri veloci come saette. Si tratta dei millepiedi giganti, simili a grissini neri e lucidi, non proprio carini come un gattino, ma pur sempre creati per una ragione.
Siamo qui, noi due, seduti sotto un mare di stelle che pare volerci cadere addosso ogni volta solleviamo la testa. Siamo qui, nel buio di una notte africana, accampati nel parco di Khalagadhi, un crocevia di piste sterrate che si affaccia sulla parte ovest del sud Africa, incrociando i venti della vicina Namibia e sfiorando i cieli della notte nera del Botswana.
Non ci siamo arrivati per caso in questo luogo remoto.
Gisella ed io abbiamo volato per ventiquattro, lunghe ed interminabili ore sui cieli di mezzo mondo.
Non mi piace volare.
Non per la paura di morire, che tanto so bene essere la cosa più inutile che si possa fare.
Non mi piace sorvolare un mondo quando invece potrei viaggiarvi sopra percorrendolo.
Non mi piace lasciare che il tempo acceleri lasciando dietro,alle mie spalle solo una scia bianca in cielo.
Vorrei poterla depositare in terra e essere io l'artefice di quella scia.
Ma a volte, a causa del poco tempo a disposizione, questo mondo accelerato che ci farà morire prima di essere riusciti a vivere davvero, ci costringe a rincorrere il tempo e talvolta a superarlo.
Siamo partiti il 26 alle 4 di mattina da casa, ed ora come se fosse stato un battito di ciglia, ho il mondo alle mie spalle.
Ho lasciato il ghiaccio del mattino di Torino ancora intonso sul vetro della mia auto ed ora, come se un sogno mi avesse trasportato lontano, sono in maniche corte a scrivere il blog sotto un soffitto di stelle.
Vivo e viviamo tutto l'anno per poter sognare.
Lasciamo che la nostra vita sfugga via dalle mani, giorno dopo giorno tutto l'anno solo per poi sollevare il capo in una notte Africana e scorgere quell'universo da sogno che qualcuno ha creato e che noi non sappiamo, o forse non possiamo, neppure più osservare.
Il tempo sembra sempre mancarci, la vita di tutti i giorni ti imprigiona come una moderna e tecnologica sabbia mobile.
Ti inghiotte, tu sprofondi, sotto migliaia di mail, messaggi, telefonate.
Tutto è di colpo sempre urgente, tutto sembra presagire una imminente fine del mondo.
Poi......scorri le pagine di un atlante reale, e scopri che la vita è tutt'altra cosa.
La vita talvolta è un sorso di acqua.
La vita può essere quella pozza in mezzo al deserto che da vita a sua volta ad altri esseri, e tu da questi ultimi ricavi per te qualcosa per vedere un domani.
La vita è un sorriso di una persona mai vista prima e, con buone probabilità, ma vista neppure in futuro.
La ma vita, dalla quale non posso comunque scollegarmi ancora, è una finzione quotidiana, una incoerente scena di una fiction che va in onda tutti i giorni lavorativi dal lunedì al venerdì.
Per poi, solo allora, consentirmi di indossare quegli abiti che davvero fanno parte di me e mi fanno sentire vivo, ovvero il poco, quel nulla che in questi luoghi remoti ancora da di umanità.
Arrivare qui, confrontarsi con la povertà di un mondo che è stato in grado di vivere, sopravvivere e diventare grande nonostante non abbiano pressoché nulla, mi fa sentire piccolo, molto piccolo.
Vorrei potermi mettere in gioco come loro per comprendere se io, nato in questi luoghi anziché nel ricco e agiato mondo moderno, sarei stato in grado di superare i loro ostacoli.
La discriminazione razziale ad esempio.
Quanto orgoglio, quanta determinazione credo si debba avere per continuare a camminare a testa alta quando, tutti attorno a te, ti deridono e ti reputano inferiore.
Quanta forza di spirito, quanta forza in generale devono aver avuto queste donne e questi uomini.
È mattina, arriviamo in una cittadina sulla strada che porta al luogo dove ora ci troviamo.
Pensiamo a cosa ceneremo e Gisella scorge un negozio sulla strada.
La coda delle persone arriva sino sul mairciapiede.
Lei mi guarda e mi dice di fermare il fuoristrada.
Scende dalla nostra Jumba e con piglio sereno ma fiero si dirige verso il negozio dove non vi è l'ombra di un bianco neppure a pagarlo.
Io scendo dall'auto, il sole caldo del mattino brucia la testa.
Passo le mani nei pochi capelli rimasti ed in quel momento mi ritorna in mente che, prima di partire, ho scordato il consueto taglio del pelo che ogni due settimane eseguo autonomamente.
Sul marciapiede di fronte una serie di bancarelle luride e malconcie sembrano fare al caso mio.
Un lenzuolo dipinto come le bombolette di vernice raffigura una serie di teste di uomini con tagli di capelli differenti.
Alcuni ragazzi dentro le baracche hanno collegato dei rasoi ad alcune batterie di auto, e con essi tagliano i capelli ai locali.
Li osservo, e mi chiedo quanta forza e quanta dedizione occorra avere per spingersi sia a mettere su bottega su un marciapiede, sia a fermarsi in essa per farsi radere.
Nel nostro mondo, fatto di lustrini e di " maison " di alta moda, una cosa del genere sarebbe tabù.
Io vivo nel nostro mondo dove se non hai un nome non sei nessuno, ma ogni volta che vedo quel nessuno sento un gran desiderio di andare a chiedere il suo nome.
Trascorrono circa dieci minuti, Gisella rientra dal negozietto con due buste di nylon nelle mani. Si avvicina al fuoristrada, mi cerca con lo sguardo e non mi trova.
Poi allunga il campo visivo dall'altra parte della strada e mi scorge laggiù, seduto dentro ad una di quelle baracche, tutti neri salvo uno, io.
Attraversa la strada e mi si avvicina.
Io sono seduto con indosso uno strofinaccio stupendamente lercio come le baracche stesse.
Un uomo nero come la notte ma con un uno sguardo luminoso come il sole sta terminando di tagliarmi i capelli.
Osserva Gisella che esterrefatta si avvicina e chinando il capo entra nella baracca.
Le sorride.
Gisella lo saluta e poi, quasi a rimproverarmi della marachella mi dice: scommetto che li avevi talmente lunghi che ti cadevano negli occhi.
Io sorrido, e l'uomo solare mi chiede cosa lei abbia detto.
Io lo guardo mentre egli mi allunga un frammento di specchio rotto così che io mi possa specchiare e verificare se il lavoro sia stato fatto bene.
Mentre mi specchio, seriamente gli rispondo " mia moglie vorrebbe farsi tagliare i capelli da te"
Gisella scappa, lui ride, io lo abbraccio ricambiando il sorriso.
Non chiederci perché viaggiamo, la risposta potrebbe essere più disarmante di quanto voi vi possiate aspettare.
Viaggiamo per abbracciare un qualcuno come noi. 
Viaggiamo per aprire le nostre menti nel cancellare il concetto di diversità.
Viaggiamo perché conoscere volti nuovi rende ricchi più di quanto un ricco volto possa fare.
Viaggiamo perché è ciò che più desideriamo, pensando a quanto sarebbe ancora piu grande il mondo se tutti avessimo l'umiltà di sorridere ad un volto mai visto.
Domani viaggeremo ancora, se il destino vorra' saremo in Namibia.
E se se la tecnologia lo vorrà, pubblicheremo questo post.
Se una delle due cose dette prima non vorrà, sarà stato bello lo stesso, io il mio barbiere di fiducia l'ho trovato......ora tocca a Gisella.
Buona notte mondo, buona notte a tutti i leoni, le giraffe, le gazzelle, le antilopi ed i mille coglioni che conosco, i quali, vivendo una vita fatta di apparenze, non leggeranno mai questo post è quindi, non avrò mai la paura di aver offeso qualcuno.

Roaaaarrrrrr














23 dicembre 2016

Il mio presepe

Quando ero piccino, credo un pò come tutti i bambini, arrivava questo periodo ed io mi sentivo come se stessi vivendo in una favola.
Il mio presepe veniva a crearsi qualche settimana prima del Natale.
Prendeva il posto di alcuni libri posti su una mensola affissa al muro della stanza dove io dormivo.
Lo potevo osservare quando andavo a letto e mi immedesimavo in esso.
La capanna costruita con una corteccia d'albero, l'erba rigorosamente finta la quale impediva alle pecorelle di stare in equilibrio tant'è che ogni giorno dovevano essere risollevate.
Le montagne dietro la capanna, modellate con la carta pesta e sulle quali, casette in legno con dentro luci intermittenti, brillavano rilasciando luce dalle piccole finestre.
Io stavo lì, al calduccio sotto le coperte, appoggiato di lato sul mio cuscino e guardavo quel piccolo mondo nato sulla mensola.
Immaginavo di essere uno di quei pastorelli che scendevano dalle montagne di carta pesta portando con se l'agnellino a spalle.
Immaginavo e mi chiedevo come fosse il presepe in altri luoghi del mondo. 
Se il bambino posto nella culla fosse ovunque come il mio, ovvero biondo e di carnagione chiara, quasi lattiginosa, come la mia.
Tutto questo, capitava circa quarantacinque anni fà......
Detto così sembra sia passata una vita.
Invece, per fortuna, è ancora tutto così !
Non ho più la mensola, non ho più la mia cameretta, sopratutto non ho più cinque anni.....ma quel mondo da sogno, continuo a vederlo e a volte, viverlo.
Le mie domande su come sia fatto quel bimbo altrove, sono ancora lì nella mia mente come tarli nel legno.
Ma forse, fra pochi giorni, darò risposte alle mie domande.
Stiamo per partire !
Non è stato facile, per chi come noi è abituato a partire in moto avendo a disposizione poco spazio disponibile, riempire le due enormi valigie che da settimane viaggiano in casa da un punto all'altro delle stanze.
Avevamo programmato un intero weekend per la preparazione dei bagagli pensando di impiegare molto tempo.
In realtà alle ore 10 del sabato mattina avevamo già finito.
E come se non bastasse....le valigie sono praticamente vuote.
Poco male mi dice Gisella, avremo più spazio per deporre le cose che troveremo in Africa.
C'è un lungo elenco di desideri e desiderati che Gisella avrebbe piacere di portarsi a casa da questo viaggio.
A partire da un cucciolo di Leopardo, ma va bene anche un cucciolo di Leone, al più un cucciolo di Iena Ridens.....
Per passare poi da cose forse meno critiche, come rami arsi dal sole Africano, sabbie raccolte in luoghi lontani, pietre che raccontano la storia di un paradiso ma che in realtà sono residui d'inferno e tutto ciò che in qualche misura possa farci sentire l'emozione di un viaggio quando, in futuro, le affereremo e
le porteremo vicino al cuore.
Non è stato neppure facile decidere cosa portarsi in termini di abbigliamento.
Fuori dalla finestra di casa osservavo la mia auto parcheggiata poco lontano. Il tetto di color nero era in realtà biaco a causa di uno strato di ghiaccio che per tutto il giorno non ha dato segni di cedimento.
La mente avrebbe voluto spingere le braccia ad afferrare maglie pesanti, giacche e pantaloni coprenti.
Ma dove andremo le temperature sono di 40° C e occorre spingere la mente laggiù, sforzandosi di immaginare, sforzandosi di sudare e boccheggiare.
Così, con una maglietta a maniche corte ed una giacchetta primaverile, lunedì 26 alle ore 4 del mattino usciremo di casa.
E sempre così, grazie alla fisica ed alla spinta che l'aria genera dal basso verso l'alto, partiremo.
Tradotto, decolleremo con l'aereo.
Se la fisica non deciderà di cambiare e sperando che tutti i fisici del mondo non abbiamo sparato cazzate sino ad ora, il mattino successivo attereremo a Johannesburg.
Ci sposteremo in taxi sino a dove, finalmente incontreremo Jumba la nostra compagna di viaggio, ed in quel momento, solo allora il viaggio avrà inizio.
Tutto il resto, ogni istante, sarà da scoprire e da vivere.
Tutto il resto, non sappiamo come sarà e neppure vogliamo saperlo ora, al limite come per il presepe possiamo immaginarlo.
Lanciamo nello spazio un pensiero a tutti, donne e uomini della terra.
E' un pensiero semplice, quasi scontato, ma credetemi....tutto ciò che all'apparenza pare scontato, in realtà è ciò di cui avremmo davvero bisogno.
Un pensiero di tolleranza e apertura ma sopratutto di pace.
Ne sono piene le bocche di tutti, ne sono pieni gli smartphones di messaggini di pace, ne sono pieni i pacchi sotto l'albero ma poi....alla fine...chi davvero ci crede ?
Proviamoci, una volta per tutte, proviamo a non dirlo ma a farlo.
Spingiamoci oltre il nostro io, guardiamo attraverso le sbarre della prigione che, involontariamente ci creiamo per sfuggire alle paure di un mondo esterno.
Non lasciamo che gli altri siano solo gli altri.
Proviamo a farvi parte, di essere anche noi parte degli altri.
Scordiamoci lo specchio a casa, così da non vedere chi davvero siamo. Uilizziamo gli altri come specchio, osserviamo loro, questi sconosciuti, questi diversi.
Scrutiamoli, analizziamone non solo le loro gesta, cerchiamo di comprendere le loro sofferenze, i loro desideri.
Fermiamoci un attimo, cancelliamo la parola "io" dal vocabolario e sostituiamola con la parola "noi".
Apriamo gli occhi e scopriremo che quel presepe sarà sceso dalla mensola diventando il nostro mondo.
Auguri a tutti.
Gisella e Gianni

16 novembre 2016

Africa - Il richiamo della foresta

Mi affaccio alla finestra del quarto piano di questo hotel dove alloggio spesso quando sono in trasferta per lavoro.
Ormai conosco meglio ogni angolo di questa stanza di quanto conosca casa mia.
È mattina e come sempre mi alzo dal letto grazie alla sola spinta che un nuovo giorno mi dà.
Scosto le tende dalla finestra e lancio lo sguardo la fuori, cercando uno stimolo per vestirmi e scendere.
Il viale che passa sotto l’hotel ha l’aspetto di un qualcosa di morto, di inerme.
Le foglie degli alberi ormai giacciono in terra creando un tappeto di marciume color ruggine.
La nebbia, miscelata con lo smog delle mille auto che trasportano anime tristi verso il loro ufficio altrettanto triste, crea una cortina grigia che di certo non invoglia la bocca a generare un sorriso.
Abbasso il capo, indietreggio e mi dirigo in bagno dove uno specchio enorme mi accoglie.
Rivedo me stesso e risento dentro di me le parole che scrissi come chiusura di un viaggio in Mongolia.
Consigliavo di sorridere sempre, soprattutto a me stesso, in quanto per un gesto così semplice, mille ragioni vi saranno di certo e mille altri progetti che il futuro ha in serbo per noi cancelleranno in un attimo quella nebbia, quel color ruggine diventerà nuovamente color smeraldo in un solo istante e la natura tornerà ad essere viva come mai prima d’ora.
Appoggio le mani al lavabo, avvicino il mio viso allo specchio sino ad appoggiare il naso su di esso. Vedo la mia immagine riflessa direttamente dentro alle pupille degli occhi, così vicini e tondi da sembrare il nostro mondo visto dall’alto.
Cerco in essi un qualcosa e lo trovo nell’immaginario di un sogno.
Sorrido ed allontanandomi dallo specchio mi parlo 
“ giusto Gianni, hai ragione. Fra poco si parte sorridi ! “
Sarà passato Natale da poche ore e noi partiremo ancora. 
Una volta ancora, cercando di tramutare un sogno, una lettura, una fotografia in un ricordo che rimarrà sotto la nostra pelle per sempre.
Partiremo il 26 di Dicembre e voleremo a Sud, laggiù dove le foglie non sono color ruggine e dove la natura non dorme.
Raggiungeremo il Sud Africa per poi viaggiare lungo esso sino alla Namibia e poi ancora il Botswana.
Un viaggio che abbiamo in mente da molto tempo, un viaggio per il quale abbiamo atteso che la nebbia riempisse i polmoni e gli occhi di chi si affaccia alla finestra Italiana così da avere, laggiù, l’estate Africana.
Un viaggio che avrei voluto fare in moto, come sempre e solo in moto. Ma per una serie di ragioni mi sono dovuto arrendere e la moto questa volta non verrà, resterà a casa custode della nebbia e del freddo.
Purtroppo in molti luoghi che noi visiteremo, con la moto non puoi andare, non ti fanno accedere. 
Mi sono a lungo domandato se fosse giusto privarci di immagini uniche, emozioni e sensazioni indescrivibili solo a causa della mia cocciutaggine e devozione alla moto.
Mi sono anche confrontato con me stesso, con la voglia che avrei di visitare luoghi dove mai e poi mai la moto potrebbe seguirmi. I deserti di ghiaccio del Polo Nord, il mondo sommerso degli oceani e la loro brulicante vita oppure, oppure più semplicemente i parchi del Sud Africa.
Andremo in fuoristrada, abbandonando momentaneamente le due ruote per far posto alle meno amate quattro. Ma vivremo quell’esperienza cercando di essere parte di quel mondo in tutto e per tutto. Il nostro mezzo sarà dotato di maggiolina, ovvero una tenda posta sul tetto. Avremo serbatoi aggiuntivi di carburante e di acqua. Avremo scorte di cibo per non dover dipendere da altri. Esattamente la stessa configurazione mentale e metodologica di quando ci spostiamo in moto, semplicemente un po’ più comodi….
 Diciamo che per questo sogno, viaggiamo in BUSINESS CLASS…..
Un po’ di amarezza però c’è.
Mi sento un po’ come chi tradisce il proprio credo.
Mi sento come un Vegano che si mangia una bistecca al ristorante Fiorentino.
Nonostante questo però, non vorrei un giorno morire come quel Vegano che non seppe mai quanto era buona la bistecca del ristorante Fiorentino.
Noi partiremo e questo è il perché del mio sorriso stamane davanti allo specchio triste di un hotel triste.
Cercheremo di vivere ogni istante di quel viaggio che da tempo immaginiamo rendendolo il pensiero bello a cui penso un istante prima di lasciare che i miei occhi si chiudano alla sera.
Cercheremo di viverlo e per quanto possibile farlo vivere a chi seguirà questo blog.
Cercheremo di raccontarlo, ma con discrezione, con estrema delicatezza, come fosse una cosa fragile, un qualcosa di prezioso.
Ed è proprio così infatti, mai come oggi il nostro mondo lo è stato. E mai come oggi il nostro mondo avrebbe bisogno di amici.
Vivremo quel periodo in punta di piedi senza correre, sussurrando senza urlare, osservando senza carpire. Faremo di tutto affinché quel luogo e chi lo abita non si accorga di noi e soprattutto non debba mai ricordarsi del nostro passaggio.
Noi saremo là, inseguendo il richiamo della foresta, noi tre… Gisella, io e la nostra nuova amica Jumba.