8 gennaio 2017

Il barrito del Botzwana

  Ci lasciamo alle spalle l'area desertica e arida della Namibia del sud e del centro e, poco a poco, ci avviciniamo ad una lingua di terra denominata Caprivi Strip posta al nord.
Questa zona, improvvisamente si presenta come uno smeraldo luccicante, verde e rigoglioso nel suo essere ricco di natura.
Iniziamo a scorgere i primi villaggi realmente abitati da chi riconosci essere un uomo felice.
Un sorriso, tutto ciò che hanno, ma non lo nascondono mai, nonostante vivano in baracche di fango e legno.
Le donne, i mille bambini, gli uomini, sanno di pulito e felice nonostante, apparentemente abbiamo meno di noi.
Li guardo e scruto in ognuno di loro quell'essere appagati e gioiosi di vivere che, io per primo, noi tutti dovremmo sempre avere.
Poi invece, il nostro voler essere o forse apparire più di altri ci porta a stringere i pugni, ringhiare alla vita e non essere mai nelle condizioni per dire grazie, quel grazie che nulla costa ma tanto rende quando ti svegli al mattino e senti di avere ancora un respiro da donare al mondo.
Diversi check point si susseguono e scopriamo come quest'area sia anche soggetta a restrittivi controlli sul trasporto di eventuale carne.
Al fine di evitare il diffondersi di malattie come afta epizotica, le carni degli animali allevate in determinate aree sono vietate nel  resto del paese.
Osservo quei bambini che giocano con il nulla e quegli adulti che del nulla fanno motivo di dialogo.
Ripenso alla mia vita, a quella di molti come come me i quali, ogni giorno, cercano un modo per essere il centro di un argomento senza mai pensare che per una volta il centro sia di altri e per una volta nella vita quindi, si sappia solo ascoltare.
La frontiera con il Botzwana si avvicina e a darci il benvenuto troviamo un gruppo di babbuini, maschi e femmine con in grembo i loro piccoli.
Osservandoli non ho dubbi riguardo la nostra discendenza da loro.
Sono come noi, semplicemente si vogliono più bene, e forse in questo sono migliori.
La frontiera, rispetto a molte altre passate, risulta essere semplice ed in poco tempo siamo fuori.
Ci dirigiamo verso il punto di accesso del parco Chobe, uno dei luoghi più selvaggi della terra nonostante celi in se stesso mille contraddizioni.
In questo parco, regna selvaggia una natura animale spaventosamente bella. In questo parco non vive uomo. In questo parco ci puoi venire in aereo e dormire in lodge da 2000 dollari a notte oppure, corazzati il cuore e decidi di affrontare le impervie piste sterrate di argilla densa ed appiccicosa come il miele e dormire in tenda nella notte nera, quel nero che se non hai mai visto una notte sollevando il capo quando sei davvero solo e lontano dal mondo, non sai cosa sia.
Noi, scegliamo quest'ultimo.
La strada asfaltata si fa stretta, ad un tratto un cartello ci indica che l'asfalto sta per terminare.
Alzo lo sguardo e di fronte a me scorgo una immagine che sino a quel momento avevo visto solo nei documentari.
Una strada rossa di argilla, più stretta del fuoristrada si staglia in salita di fronte a noi.
Ai lati una gran vegetazione di piante verdi e sul terreno due solchi che, come binari mi incanalano la vettura su di essi senza lasciarmi possibilità di iniziativa.
Inserisco le quattro ruote motrici ed entro in apnea, agendo sull'acceleratore con la stessa delicatezza con la quale afferreresti una rosa.
Il veicolo inizia a salire, verso un orizzonte che non conosco ed incuneandosi sempre più nel nero di una foresta ricca di vita.
I chilometri che dovremo percorrere in quelle condizioni sono tanti, circa duecento, e vedere scorrere i metri di fronte a me uno dopo l'altro lentamente come se non dovesse esserci un futuro, questo mi riporta indietro al viaggio fatto in Mongolia.
Anche per quel viaggio e quelle strade, il metro era diventata la mia unità di misura, ed ogni metro conquistato,era un respiro o forse un sospiro.
Ma in Mongolia, tolto i lupi la notte, non dovevo preoccuparmi di altro se non della strada.
Qui è diverso.
Enormi cacche, popò, escrementi e chiamateli come volete, sono sulla sottilissima striscia di terra che stiamo seguendo, Gisella ed io, soli come sempre.
Non sono un esperto di animali ne tantomeno un talento in finezza e bon ton, per questo ad un tratto, pur in apnea per la guida in quelle condizioni, prendo il coraggio di parlare e dico a Gisella " una merda così grande può uscire solo da un culo altrettanto grande......e le antilopi ce l'anno piccolino"
Quindi ? mi risponde lei.
Quindi sono elefanti !
Il Botzwana infatti, è il luogo della terra con la più alta concentrazione di elefanti, ma non solo ovviamente.
Un regno animale che vive e liberamente si sposta la dove noi, usurpatori e finti conquistatori, pensiamo di poter andare senza essere disturbati.
I metri passano e con essi i chilometri anche se la velocità media non supera i venti chilometri all'ora.
Guadi e fango, argilla e sabbia, tronchi spezzati e arbusti, tutto pare mettersi contro noi ed il metro posto di fronte.
Una salita viscida e stretta si presenta in tutta la sua crudezza di fronte a noi, io inserisco la seconda ed accelero come se volessi sfondare il muro di paura che mi immobilizza le gambe e mi fa tremare le mani.
La macchina si scuote sul fango viscido e tutto all'interno dell'abitacolo traballa e vibra.
Ad un tratto sentiamo dal lato sinistro un urlo, quasi un ruggito, ma girando più d'istinto che per curiosità il capo, capiamo in un attimo che non si tratta di un ruggito bensì l'urlo, pieno di forza di un elefante enorme, il suo barrito.
Istintivamente cerco di accelerare ma l'argilla e la salita frenano l'ansimante procedere di jumba, il nostro fuoristrada.
Guardo negli specchietti retrovisori per capire se il gigante ci stia seguendo ma non vedo nulla sino a quando Gsella, d'impeto, mi urla frena ....frena cazzo.
Di fronte a noi il resto del gruppo, bellissimi e nel contempo terrificanti nel suo essere enormi.
Un piccolo, quasi faticando a compiere i primi passi attraversa la pista.
Io fermo la macchina, preso come sono a biscotto fra il branco di fronte a me e il maschio alle mie spalle.
Non posso fare nulla se non, fare ciò che la natura forse mi ha chiesto di fare portandomi li in quel momento, osservare.
Il gruppo protegge il cucciolo, e poi come sono arrivati se ne vanno.
Le mani tremano, le gambe sono di pietra ma occorre procedere.
E così metro dopo metro, elefante dopo elefante, osservando e cercando di respirare l'aria di una natura che per noi è più un documentario che una giornata di vita, arriviamo dove trascorreremo la nostra notte.
Fermo il fuoristrada, come sempre tiro fuori le sedie ed il tavolo ed iniziamo a prepararci per la cena.
Siamo seduti di fianco ad un fuoco improvvisato mentre mille rumori attorno a noi fanno salire i brividi nonostante i quasi 40 gradi di temperatura.
Rifletto su quale sia in quel momento il nostro essere.
Rifletto su come si stia vivendo una vita, comunque normale nonostante dietro o di fronte a noi, nel buio della notte, magari vi sia il nostro destino nascosto dietro un cespuglio.
Rifletto sul fatto che i bagni, posti circa a cinquecento metri dal nostro fuoristrada in mezzo al bosco, abbiano l'alta tensione e dei blocchi di cemento con ferri acuminati a proteggervi l'ingresso.
Rifletto che il nostro approccio, a meno del fuoco, è del tutto simile a quello che avremmo se fossimo in un campeggio al mare in Italia, dove se va male ti punge una vespa.
Qui, se va male a pungerti è il leone......
Ne parlo con Gisella, la quale non accenna a smettere di assaporare l'insalata di pomodori appena preparata.
Poi, mi guarda e sorridendo mi dice " preferiresti essere in Toscana ?"
.....abbasso il capo, sorrido anche io e, afferrando la forchetta con la mano destra assaggio i pomodori del Botzwana, che non saranno sicuramente meglio di quelli toscani, ma il fatto di averli digeriti e quindi essere vivo, li rende unici.
Due metri da terra, questa è la distanza che separa me e Gisella dal suolo ora.
Siamo in tenda, chiusi dentro sul tetto del fuoristrada.
Io scrivo, lei legge e pianifica la tappa di domani.
Gli ippopotami, le giraffe, le antilopi e tutti gli animali visti oggi fanno parte del passato.
Domani sarà futuro e noi viviamo per questo.
Domani sarà ancora Botzwana e noi viaggeremo per questo.
Stanotte che sarà ?
Ve lo diremo al prossimo post, il fuoco si è spento e noi dobbiamo spegenere le luci della tenda.
Il silenzio della notte sarà il sottofondo di una vita che qui non si ferma mai.

Buona notte















 




1 commento:

  1. Ciao ragazzi!Che emozioni ci state dando!Sicuramente avrete il cuore in fibrillazione tutto il giorno,non per la paura,ma per il fatto di vivere degli attimi
    unici,irripetibili,di vivere il pianeta meraviglioso su cui poggiamo i piedi e del quale ognuno di noi(ma non tutti!)ne conosce solo qualche kmq..Che viaggio fantastico...a presto.Daniele

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